Il premier Valls: “Se vince l’estrema destra rischio guerra civile”
I silenzi di casa Boschi sulla “banca di famiglia”
Il ministro aveva 1.500 azioni dell’Etruria ma non commenta. E il resto della famiglia non fa conoscere la situazione patrimoniale
Tra i piccoli azionisti di Banca Etruria, uno dei quattro istituti salvati dal governo mandando però sul lastrico titolari di azioni e obbligazioni subordinate, ce n’è una molto speciale: Maria Elena Boschi. Il super ministro renziano, nella sua ultima dichiarazione patrimoniale disponibile (maggio 2014), attesta infatti di essere proprietaria di 1.500 azioni della Popolare dell’Etruria, per un valore complessivo di 1.100 euro. Un modesto gruzzolo in una banca molto famigliare in casa Boschi, visto che ci lavoravano sia il padre (vicepresidente) sia il fratello del ministro. Pochi mesi fa, a luglio, la Boschi mette nero su bianco che nel 2015 «non sono intervenute variazioni» della sua posizione patrimoniale.Dunque, sembra di capire, il ministro è attualmente titolare del pacchetto di 1.500 azioni, divenute nel frattempo carta straccia dopo il decreto salva banche del governo di cui fa parte. Uno dei tanti piccoli risparmiatori tratti in inganno dalla banca aretina? Proviamo a chiedere conferme direttamente al ministro Boschi, che però tramite il portavoce ci fa sapere di non voler commentare la vicenda di Banca Etruria («Ha parlato il premier per spiegare la situazione. Sulle poche azioni del ministro rimandiamo all’amministrazione trasparente nel sito del governo, dov’è evidente il valore delle stesse azioni»).A rigor di logica, visto che da febbraio le azioni della banca sono sospese in Borsa e quindi non potevano essere vendute, il piccolo investimento della Boschi dovrebbe essere andato in fumo. Ma il ministro non smentisce né conferma. L’11 febbraio 2015 infatti la Popolare dell’Etruria viene commissariata dal Tesoro su indicazione di Bankitalia.Fino al giorno prima, vicepresidente della banca aretina è il padre di Maria Elena Boschi, Pierluigi. Su Twitter, il giorno del commissariamento, il ministro cinguetta: «Smetteranno di dire che ci sono privilegi? Dura lex sed lex». Poco più di un mese dopo, a fine marzo, il fratello Emanuele 33 anni – decide di lasciare Banca Etruria per lavorare presso uno studio legale di Firenze. Laureato in economia, era stato assunto alla Etruria nel 2007: da novembre 2012 a ottobre 2014 è stato il responsabile dell’analisi dei processi di costo della banca «attuando gli interventi volti a minimizzarne l’impatto a conto economico».Resta da capire, oltre al vero destino dei risparmi di Maria Elena Boschi alla Popolare Etruria, se anche il fratello Emanuele o il padre Pierluigi avessero investito in azioni o bond subordinati della banca che hanno amministrato fino al commissariamento: entrambi, come la madre, l’altro fratello e pure la nonna, non hanno dato il loro consenso alla pubblicazione della dichiarazione patrimoniale e dei redditi. Forse il ministro ha perso mille euro, ma può darsi che la famiglia ne abbia guadagnati di più nel periodo precedente all’arrivo dei commissari. Di certo, quei titoli ora valgono zero e sono di proprietà di una società destinata alla tomba. E altrettanto certamente in Italia si può essere azionisti di una banca popolare finita in dissesto, figli di un suo amministratore (multato da Bankitalia per carenze nella gestione), partecipare alla ricostruzione di quel settore – per decreto di un governo di cui si fa parte e pure al salvataggio della banca stessa.Eppure quando venne votata la riforma delle popolari e l’istituto aretino finì nel mirino della Consob per i movimenti anomali del titolo in Borsa – la Boschi smentì il conflitto di interessi perché «Banca Etruria aveva già deciso di trasformarsi in spa nell’agosto 2014» (e a Piazza Affari nella seduta del 22 agosto ci fu un boom di scambi pari al 12% del capitale). Assicurando comunque di non aver «nemmeno preso parte al consiglio d’amministrazione in cui è stato votato questo provvedimento». «Consiglio d’amministrazione» e non consiglio dei ministri. Un piccolo lapsus.

La speranza del populismo
La progressiva avanzata del Front National in Francia sta gettando nel panico i fautori del politically correct. I più spaventati sono, ovviamente, i socialisti francesi. Ciò che resta del partito di Hollande è disposto a tutto pur di fermare Marine Le Pen, fino al suicidio in favore di Nicholas Sarkozy. Su scala ancora ridotta, sta avvenendo quanto previsto da Michel Houellebecq in “Sottomissione”: la Francia vogliono lasciarla a chiunque, anche all’Islam, purché non alla destra. Certo, mettere sullo stesso piano Sarkozy e Mohammed Ben Abbes, il presidente islamico di Houellebeck, è provocatorio; ma non dimentichiamo che Sarkozy, ultimo esponente di quello che fu il gollismo, è l’apprendista stregone che pianificò e mise in atto il disastro libico. La presenza di un terzo partito forte non è una novità in Francia: fra le due guerre vi fu l’Action francaise di Charles Maurras, sorpassata poi a destra dal movimento di Bardeche, Drieu La Rochelle e del martire Robert Brasillach, mandato a morte da De Gaulle per delitti di opinione; lo stesso Rassemblement gollista fu un terzo partito, che sconfisse i socialisti e il Mrp, assorbendo poi questi ultimi. Il Fronte Nazionale è bollato dai “democratici” di “populismo”: cos’è mai questa bestia nera esecrata da chi sostiene in teoria il potere del popolo? Il populismo nasce in Russia alla fine del secolo XIX ed è un movimento per l’emancipazione delle classi contadine e dei servi della gleba attraverso la realizzazione di una sorta di socialismo rurale; il termine è poi passato a definire ogni movimento politico tendente a esaltare il ruolo e i valori delle classi popolari. Nel linguaggio politically correct, invece, populismo acquista un significato dispregiativo e indica un atteggiamento demagogico volto ad assecondare le aspettative del popolo, indipendentemente da ogni valutazione del loro contenuto e della loro opportunità: emerge, con ogni evidenza, l’insopportabile supponenza e la sconfinata saccenteria della sinistra, che si arroga il potere di stabilire, essa sola, quale sia il bene del popolo e cosa il popolo debba auspicare, così come lo stesso Gramsci teorizzò a suo tempo. In realtà la caratteristica del populismo è la presenza di un capo carismatico, in rapporto diretto con le classi popolari, di cui gode il consenso. In questa definizione possono quindi ricomprendersi bonapartismo, kemalismo, fascismo, nazismo, peronismo, maoismo, gollismo, nasserismo e qualunquismo (l’unico, quest’ultimo, a non aver raggiunto il potere). Possiamo quindi facilmente vedere, a questo punto, cosa terrorizzi i “democratici”: la prospettiva che siano spazzati via i gruppi parassitari (politici e burocrati) che infestano, oggi come in altre epoche, le strutture e le pesantissime sovrastrutture di organismi internazionali, entità statali e istituzioni locali. Tutti i socialisti, non soltanto quelli francesi, vedono il populismo come il fumo negli occhi. Essi si rendono conto che i movimenti popolari non soltanto disvelano i drammatici fallimenti del loro sistema di governo, ma smascherano la loro reale natura di gruppi oligarchici, assolutamente sordi alle aspettative del popolo. Il Front National, dunque, è realmente populista. Marine Le Pen è indubbiamente un leader carismatico e il movimento, sicuramente popolare, rappresenta quelle che sono oggi le aspettative dei francesi. Auguro a Marine e ai suoi di andare da un trionfo all’altro: certamente non dovrà aspettare il 2022, come nel romanzo di Houellebecq, giacché i francesi si guarderanno bene dall’assegnare a Hollande un secondo mandato. Speriamo soltanto che i democratici non la assassinino; non vorrei proprio che finisse come tanti uomini politici di Polonia, Austria, Vietnam e altri paesi. Il risultato delle elezioni francesi ha dato modo al nostro Matteo Renzi di dire, per la prima volta nella vita, una verità: se l’Europa continua così, il populismo vincerà dappertutto. Disgraziatamente l’Italia non è come l’Ungheria e la Polonia, che si sono già affrancate, o come la Francia, che è sulla buona strada. Il punto è che in Italia le tanto vantate libertà democratiche valgono soltanto in teoria, tanto che l’ultimo premier legalmente eletto è stato deposto da un colpo di stato. In Italia, poi, non esiste, oggi, un leader carismatico. I due soli movimenti populisti sono Cinquestelle e Lega: i primi non hanno nemmeno un programma (e di Grillo non vale la pena di parlare), mentre Salvini, pur apprezzabile per la svolta ideologica impressa alla Lega, mi sembra ancora piuttosto lontano dal livello della grande Marine. Non deponiamo, tuttavia, la speranza di liberarci da questo regime, ormai intollerabile, che, non pago di aver distrutto l’economia (e ha la faccia tosta di vantarsi per un più zero qualcosa per cento), sta distruggendo l’identità nazionale e tutti i valori del nostro popolo. Invochiamo la Divina Provvidenza e abbiamo fede: Essa conosce quali strade percorrere per esaudire le nostre preghiere.
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Subject: | Lehner: Immacolata o non? |
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Date: | Tue, 8 Dec 2015 07:46:34 +0000 |
From: | Giancarlo Lehner |
To: | ( . . . ) |
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Subject: | FW: Lehner: uccidere non è più peccato |
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Date: | Wed, 9 Dec 2015 12:38:06 +0000 |
From: | Giancarlo Lehner |
To: | ( . . . ) |
——– Original Message ——–
Subject: | 10 Dicembre – Leggi le principali notizie di oggi |
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Date: | Thu, 10 Dec 2015 05:09:06 +0100 |
From: | “Secolo d’Italia” <newsletter@secoloditalia.it> |
To: | “associazioneazimut@tiscali.it” <associazioneazimut@tiscali.it> |
Reply-To: | newsletter@secoloditalia.it |
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Subject: | Save the date: “Pino Rauti: il rivoluzionario nazional popolare” – Venerdì 18 dicembre, ore 17.30, Palazzo Ferrajoli, Piazza Colonna 355, Roma |
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Date: | Mon, 7 Dec 2015 15:33:32 +0100 |
From: | isabella rauti <isabellarauticomunicazione@gmail.com> |
To: | ( . . . ) |
Vi aspettiamo.
Grazie
Isabella e Alessandra Rauti
Pino Rauti – Wikipedia
Pino Rauti, all’anagrafe Giuseppe Umberto Rauti (Cardinale, 19 novembre 1926 – Roma, 2 novembre 2012), è stato un politico e giornalista italiano, segretario …
Pino Rauti – “Le radici profonde non gelano…”
di Giorgio Gaias Tre anni fa ci lasciava Pino Rauti, l’ex segretario del Movimento Sociale Italiano da alcuni definito “fascista di sinistra” e da altri “Gramsci nero”.
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